La Presidenza del Consiglio dei Ministri a fronte dell’emergenza sanitaria da Coronavirus ha emesso il decreto (Dpcm) n. 6/2020, in vigore dal 23 febbraio u.s., il quale, tra l’altro, all’articolo 3 -“Applicazione del lavoro agile”, stabilisce che «nelle aree considerate a rischio nelle situazioni di emergenza nazionale o locale» la disciplina sullo Smart Working di cui agli artt. 18/23 della Legge n. 81/2017 può essere applicata «in via automatica …anche senza accordi individuali”, con adempimento degli obblighi di informativa resi in via telematica “anche ricorrendo alla documentazione disponibile sul sito dell’Istituto Nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro.

Da qui i proclami secondo cui oggi lo Smart Working sarebbe libero, bello e facile. Ma non è esattamente così.

Anzitutto, cosa da molti trascurata, il Ministero del Lavoro ha precisato che l’agevolazione riguarda solo gli 11 Comuni dell’allegato 1 al Dpcm, ossia attualmente in quarantena.

Inoltre, il Dpcm ha validità solo per n. 14 giorni, perciò sino al 7 marzo p.v., salvo proroghe.

Ancora, rimane l’obbligo della comunicazione preventiva telematica di attivazione dello Smart Working, con la precisazione che è da allegare anziché l’accordo individuale (ed il Regolamento laddove da questo richiamato), un’autocertificazione che trattasi di un lavoratore appartenente ad una delle aree a rischio.

Deve aggiungersi che lo Smart Working è una modalità di lavoro che per funzionare bene necessita di un’attenta predisposizione e organizzazione aziendale, la quale oltre alla formalità della stipula degli accordi individuali – oggi superabile in via provvisoria in forza del citato Dpcm e nei suddetti limiti – comporta la predisposizione di un Regolamento specifico, di strumenti informatici che garantiscano la riservatezza dei dati aziendali trattati (attribuzione di telefono e pc aziendali o predisposizione di un account aziendale distinto e autonomo su strumenti personali del lavoratore), di connessione protetta ai sistemi aziendali, di adeguata formazione e informazione dei lavoratori in tema di sicurezza, comportando rischi atipici rispetto alla normale prestazione di lavoro. Formazione e informazione di cui è ribadita l’obbligatorietà anche nel Dpcm 6/2020, e che in questi frangenti non è detto le aziende riescano a fornire in modo idoneo in via telematica, sia pure aiutate dal sito dell’INAIL.

Lo Smart Working vero ed efficiente non si improvvisa, e piuttosto le aziende, una volta tornate alla normalità, faranno bene ad adottare seriamente e ponderatamente questo sistema. 

Al momento, diciamo che di fatto si sta realizzando non lo Smart Working in senso proprio e tecnico, bensì la concessione da parte datoriale, anche fuori dei Comuni in quarantena, della possibilità del lavoro domiciliare laddove e per quanto possibile, senza alcuna regolamentazione, al fine primario di contenere il contagio da Coronavirus. Nell’emergenza ci sta, e ben venga, ma lo Smart Working è un’altra cosa.